Sono forse io il custode di mio fratello?”
Gn 4, 9

Gli scout sono solitamente abbastanza facili da identificare, se non altro per via dell’uniforme e del fazzolettone. Ciò che passa un po’ più inosservato, perché accade “dietro le quinte”, è che ogni gruppo Scout si muove seguendo una linea pensata dalla Comunità Capi, a cui è affidato il progetto educativo, che determina il percorso dei ragazzi e non solo. La nostra idea di educazione e di comunità, infatti, non si limita a porre un’attenzione sui ragazzi e sul loro modo di stare in relazione gli uni gli altri, ma contempla anche una parte meno evidente e non scontata, che riguarda la vita di ognuno di noi adulti e la sua custodia.

Pensiamo infatti che il raccontarsi agli altri (e questi altri sono anche i ragazzi che ci sono affidati) avvenga attraverso la condivisione delle fatiche e delle bellezze della nostra vita, delle consapevolezze che abbiamo fatto nostre e delle debolezze su cui periodicamente inciampiamo, delle ragioni che ci portano a fare determinate scelte e dei criteri con cui costruiamo la nostra quotidianità. Questo ci permette di avere intorno qualcuno che si prende cura e veglia su di noi: rendere partecipi gli altri degli accadimenti della nostra vita consente loro di donarci uno sguardo sul nostro percorso, attraverso delle domande che ci consentono di costruire analisi che sappiano arrivare in profondità.

Saper accogliere questo dono, ma anche sapersi fare dono, si basa su un’idea di responsabilità che ha poco a che fare con l’aspettare che ci sia qualcun altro a parlare al posto mio o a fare sempre il primo passo, né tanto meno con l’idea di aver già fatto la propria parte: probabilmente, “se non lo faccio io, nessun altro lo farà per me”. Ci relazioniamo agli altri nell’ottica di riconoscere la ricchezza della diversità che intercorre tra ognuno di noi, raccogliendo i frutti di ciò che l’altro può dirci, anche se difficile da ascoltare, consapevoli del fatto che l'altro sia per noi e non contro di noi. Proviamo così a dare risposta in modo concreto al desiderio che già era di Adamo, quello di un “aiuto che gli fosse simile” (Gn 2, 20), contribuendo in modo attivo a generare la vita, un passo dopo l’altro.

Questo modo di stare in relazione si riverbera poi nelle attività con i ragazzi, ai quali proponiamo una testimonianza di ciò che siamo, con le conquiste quotidiane e le fatiche che incontriamo sul nostro cammino. Si riflette anche all'esterno della Comunità Capi e del gruppo: cerchiamo infatti di guardare all'umanità delle persone che abbiamo davanti e che incontriamo, costruendo e progettando insieme.